Che cosa aveva il Rover Lunare che fu utilizzato per la prima volta dagli astronauti sulla Luna nella missione Apollo 15 del 1971?
«EHI, GENTE, questo è meglio di un Gran Prix!». La voce eccitata giungeva al Centro di Houston da 380 mila chilometri di distanza, da una zona montagnosa della Luna definita “Appenini Hadley”. E la voce era di David Scott, comandante dell’Apollo 15, la missione che per la quarta volta portò due uomini sulla Luna, mentre egli, assieme al pilota del modulo lunare James Irwin, si trovava ai comandi della prima automobile scesa sulla superficie selenica, una sorta di jeep o di “Dune Buggy”, che quel 31 luglio del 1971 Scott e Irwin avevano scaricato con cura da un compartimento della sezione di discesa del loro Lem, battezzato “Falcon”. Il “Moon Rover” o “Lunar Roving Vehicle” fu l’elemento principale che caratterizzò quella missione Apollo 15, che era partita grazie alla devastante potenza del razzo Saturno 5 da Cape Kennedy il 26 luglio 1971 con Scott, Irwin e il pilota del modulo di comando, Alfred Worden.
Nonostante in Tv non fu registrata l’audience da record del mese di luglio di due anni prima, in occasione del primo allunaggio dell’Apollo 11, quel 31 luglio del 1971 milioni di telespettatori in tutto il mondo assistettero con curiosità all’evento di quel primo Gran Prix proveniente da un altro corpo celeste. E nonostante la velocità del “Moon Rover” non fosse affatto paragonabile a quella dei bolidi di Formula Uno (poteva viaggiare a una velocità massima di 25 chilometri orari), l’evento era del tutto straordinario: David Scott e James Irwin, i primi due automobilisti cosmici della storia, se ne andarono a spasso tra i crepacci e i crateri dell’area di Hadley, sulla loro jeep che aveva le dimensioni di una “500”. Costruita dalla Boeing e dalla General Motors, non aveva un volante, ma una cloche simile a quella degli aeroplani, con la quale si comandava la marcia in avanti e indietro, e la sterzata (con una variazione del differenziale delle ruote, come per i carri armati).
Inoltre, dovendo operare in un mondo senza aria e quindi senza ossigeno, non poteva logicamente disporre di un normale motore a scoppio che bruci benzina. Il motore quindi era elettrico, alimentato da batterie chimiche con autonomia di cento chilometri percorsi a piena potenza. Ogni ruota era autonomamente motrice con un piccolo motore da un quarto di cavallo di spinta. I sedili erano in nailon, sagomati in modo tale da accomodare gli astronauti rivestiti dello scafandro lunare e dello zaino portatile di sopravvivenza. A causa dei sobbalzi piuttosto violenti causati dalla bassa gravità lunare, gli astronauti si legavano a cinture di sicurezza molto forti. E tutto ciò non era poi così negativo: grazie alla gravità lunare, che è un sesto di quella terrestre, con la “Moon Rover” si riusciva a superare pendenze del trenta per cento, e a saltare scarpate larghe fino a settanta centimetri: cosa pressoché impossibile sulla Terra.
Le ruote erano formate da pneumatici, che anziché essere in gomma con camera d’aria, come le auto “terrestri”, avevano all’interno un anello elastico con una fitta rete di filo d’acciaio con un battistrada in tasselli di titanio. Un sistema di navigazione automatica consentiva all’auto lunare di viaggiare con sicurezza: ovviamente la sicurezza non riguardava tamponamenti sulla Luna (dove non c’è traffico…), ma di evitare che gli astronauti si perdessero sulla Luna, evitando così di cercare per troppo tempo il percorso di ritorno al Lem “Falcon”. Oggi esistono ancora tre modelli della jeep lunare, adoperati all’epoca dell’Apollo per gli addestramenti degli astronauti; uno di questi, di proprietà del museo di Houston, viene spesso trasferito in varie nazioni durante le mostre dello spazio.
La missione Apollo 15, che si concluse con un ammaraggio nel Pacifico con batticuore il 7 agosto 1971 (uno dei tre paracaduti non si aprì regolarmente), ebbe diversi elementi collegati all’Italia. Lo stemma della missione, che raffigurava tre boomerang (uno per astronauta) che sorvolano il delta di Hadley, fu disegnato dal sarto fiorentino Emilio Pucci. È l’unico stemma di una missione spaziale disegnato interamente da un italiano. Inoltre, l’equipaggio portò sulla Luna una bandierina italiana, che è stata successivamente venduta a un’asta, e acquistata dall’Editore filatelico Bolaffi di Torino. Infine Scott, per rendere omaggio alle teorie sulla gravità di Galileo Galilei, fece una dimostrazione pratica sulla Luna in diretta Tv; Scott fece cadere dall’altezza della vita del suo scafandro lunare, una piuma e un martello, che caddero sulla superficie lunare nello stesso istante. «Avete visto?», comunicò a Houston, «È la dimostrazione che Galileo aveva ragione».